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Scrivi un commento al testo di Giulia Salis Nioi
Faetum

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Come la sedia squarciata in sala d’attesa

rivolta al cielo grigio sbranato da un tuono

attendo, dilaniata, il mio fato.

 

Il primo strinse le dita

nel tetto di una capanna

a riparar le parole scientifiche

dal diluvio empatico.

La seconda aprì le mani,

mostrandosi inerme

davanti allo scroscio viscerale

d’una pioggia silente.

 

Lui vide il silenzio di una grotta

prima ancora battente

al ritmo fugace della vita.

E guardò mesto la mia oscurità,

spalle a una parete

che non poteva reggerne

il disperato respiro.

Le sue lacrime le videro solo 

quella panchina e il cemento.

Io le sentii sulle spalle, tra narici e capelli,

in mezzo alle mie corde vocali.

 

Come la sedia squarciata in sala d’attesa

rivolta al cielo grigio sbranato da un tuono

attendo, dilaniata, il fato.

 

Accarezzo il mio lutto

da una gabbia di carne,

buio avello 

d’un gatto di Schrodinger:

è il mio contrappasso.

Inesistente folata di vento

dilania la stanza:

è la poesia, la grande puttana,

che ulula alla mia eclissi di luna.

 

E l’albero e le formiche

conobbero il mio sale,

sola nel cimitero del ventre.

E lui mi baciò la fronte

e ascoltò i miei occhi.

Il distacco si spezza come 

una bianca corda di Wharton.

 

La sedia squarciata in sala d’attesa

è rivolta al cielo ora grigio, ora assolato,

mentr’io tramo brandelli che ordiscono il fato.

 

L’acqua esplode in fioriture rosse,

scorre lungo i vetri di finestre lontane,

percorre i boschi e ricolma

impronte di esausti passi.

Chiudo gli occhi in mezzo

a una sconosciuta carezza,

vallata femminea,

e il mio viso è una diga.

Al risveglio ancora lacrime, pesanti 

come sangue.

E poi sangue, leggero, come

il volo di un’anima.

 

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